Davide Geddo. Un miscuglio eterogeneo di capolavori e mediocrità.

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Fratelli sono le persone che si riconoscono da una stessa parte. La fratellanza è provare emozioni davanti un film, a una canzone o a un’altra opera d’arte. È ciò che ci contraddistingue non più solamente dagli animali, ma forse anche sempre di più da una massa di persone digitalizzata ed educata alla sensazione più che all’emozione.

Questo è ciò che dice, in una sua intervista, Davide Geddo, cantautore ligure che vanta quattro piacevoli album: Fuori dal comune (2010), Non sono mai stato qui (2013), Alieni (2016) e, quello di cui ci intessa parlare qui, Fratelli (2020).

È proprio con i nostri fratelli che riusciamo a goderci le cose più semplici della vita, come una serata in discoteca, al bar o semplicemente a casa davanti un film. Proprio su questo punta Geddo, con il suo ultimo album, sul raccontare tutte quelle piccole cose che riusciamo a goderci con loro, con quelle persone che ci stanno accanto e che conoscono realmente chi sei.

 

La musica e i testi di Fratelli di Davide Geddo

Il primo pezzo, Su la testa, può essere visto come una perfetta introduzione a quello che l’artista vuole esprimere con questo album. Questo rappresenta una denuncia alla musica di oggi, a come la musica viene vissuta dagli artisti ormai in carriera e dalle persone comuni. Ci stiamo sempre di più abituando ad ascoltare pezzi leggeri, a idolatrare artisti solo perché tre giudici hanno sentenziato dando loro il lasciapassare per il mondo della musica.

Non siamo più capaci di ascoltare le canzoni, a dare un valore a quello che sentiamo o che viviamo. Quello che Geddo scrive in Su la testa è però una realtà evidente a tutti coloro che vivono di musica, niente di nuovo, perciò è da premiare non tanto il pensiero, ma il fatto che riesca a descrivere bene una scontata realtà.

L’album continua con Parlandone da vivo, brano che si presenta con una chitarra graffiante e un testo ben strutturato, forse associato forzatamente al tipo di cantato utilizzato da Geddo. Sembra poco naturale, quasi un pezzo messo lì a riempire il disco. Poco curato sotto tutti gli aspetti, dai volumi di voce e chitarra, al tono utilizzato per raccontare il testo.

Con Differenza, Geddo riesce a descrivere alla perfezione un amore fatto di persone diverse. Due opposti che “hanno imparato a darsi le loro differenze”. Una musica sicuramente molto leggera ma allo stesso tempo toccante, con una bella armonia tra musica e parole.

Il testo di come un pazzo mette in evidenza l’alienazione di un uomo innamorato e, utilizzando varie metafore come “un cane annusa un cane” o “un soldo a un uomo cieco”, riesce a trasmettere delle immagini che descrivono bene le sensazioni provate da una persona innamorata.

Con Fino all’alba Geddo tocca un tasto dolente della nostra società. La gente, vivendo la realtà di oggi, quasi soffocante, ha bisogno di vivere un po’ più alla leggera, godendosi quanto meno una serata diversa, insieme ad alcool, donne e musica che, con il volume quasi fastidioso, riesce a spegnere i pensieri della vita reale. Anche se non ami questi posti a volte sei costretto ad andarci, per darti una botta di autostima, conoscendo persone nuove, innamorandoti in un bagno per un istante per poi dimenticare e andare avanti con la serata, tornando al bar e continuando a far passare il tempo in modo superficiale fino a quando l’alba ti ricorda che è l’ora di vivere un’altra giornata della tua solita vita, il tutto accompagnato da un basso che riesce a trasmettere la confusione provata in questi luoghi.

Resta, invece, parla di un uomo che ha trovato la serenità non in discoteca, ma nell’amore verso un altro essere umano. Racconta di un uomo che ha vissuto molti anni della sua vita senza una persona accanto, “senza occhi a cui non raccontare”, per poi trovare la persona che riesce ogni mattina a dare un senso alla giornata. Musicalmente molto fine e soprattutto, finalmente, una perfetta armonia tra testo e suoni.

 

Sicuramente le impressioni fino a qui sono abbastanza buone, a parte qualche piccola imperfezione nei suoni e qualche “svista” compiuta nel mettere insieme testo e musica, sembra un album scritto da una persone che ha provato tante emozioni nella vita e che, tramite le canzoni, cerca di trasmetterle a chi le ascolta. Poi arriva A colpi di karate e finalmente capisci cosa Geddo riesce a fare veramente bene. Parole messe con attenzione una dietro l’altra e una base semplice ma toccante che insieme riescono a farti sentire il soggetto della canzone. Riescono a prenderti e catapultarti in quel bar rovesciato dove non fai altro che sbagliare il momento di guardarla.

Geddo ha la capacità di raccontare questo tipo di storie facendole vivere a chi le ascolta e, in “A colpi di karate” da il meglio di se, mettendo in mostra le sue qualità.

Anche con La guerra dei poveri fa la sua “porca figura”: un’Italia corrotta e un popolo con le fette di salame sugli occhi sono i protagonisti di questo pezzo.

Ad un’artista a tutto tondo come Roberta Carrieri, cantante, attrice e musicista barese, non poteva che lasciarle spazio in un pezzo nel quale solo un’attrice come lei avrebbe potuto renderlo unico. Quasi un pezzo perfetto, che (tramite il dialogo tra Roberta e Geddo) si ha l’impressione di stare proprio in quel Condominio scala B.

Perdersi invece racconta l’ineluttabilità del destino verso una coppia, sicuramente un testo niente male ma interpretato in modo poco originale, con una metrica che richiama tanto “Resta”.

Anna Vorrei e La tua finestra sono altre due canzoni d’amore che raccontano, rispettivamente, un amore non corrisposto e un amore che riesce a renderti la vita unica, resa tale dalle piccole cose che la donna amata fa nei confronti dell’uomo amato. In Anna vorrei, oltre al testo alla Geddo, con le sue storie vivide e quasi reali trasmesse con immagini direttamente nella nostra testa, sentiamo la tromba di Raffaele Kohler, quasi come quella di “The Gunner’s Dream” dei Pink Floyd, che con il contro canto fa capire la rabbia di un amore non corrisposto.

Infine l’album si conclude con Amore tra parentesi, una maestosa musica, un perfetto matrimonio tra quello che Geddo vuole trasmettere e quello che trasmettono gli archi di Rossano Villa e la chitarra classica di Mauro Vero.

 

Personalmente ho avuto difficolta ad ascoltare tutto l’album in sequenza, poiché le perle di quest’album si trovano buttate quasi senza pietà insieme a tracce non all’altezza. Molte sembrano, come già detto, tracce riempitive mentre altre, capolavori da cantautore affermato.

Geddo è un cantastorie di classe, ma forse dovrebbe dedicare più tempo all’ascolto dei propri pezzi, alla messa in ordine delle tracce, alla scelta tra base e testo.

Tanto talento a volte nascosto da una superficialità che rischia di minare l’ascolto dell’album.

Italo Messina

Italo Messina

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