Alex Henry Foster si racconta: tra Tangeri, creatività e reset da pandemia

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Alex Henry Foster è un artista, cantante, musicista, scrittore e attivista canadese. Artisti come Alex sono importanti non solo per l’arte che ci regalano, facendoci staccare per un momento dal caos assordante del mondo, ma anche e soprattutto per la consapevolezza che riescono a innescare nella coscienza di molte persone. Bene, Alex è uno di quegli artisti che, pur in un contesto drammatico come quello causato dal Covid-19 che ha impedito, a lui come a molti altri lavoratori del settore, di esprimersi al meglio, non hanno perso la voglia di alzare la voce e farsi sentire.

 

Tutto per evitare di far finire nel dimenticatoio, in un periodo di comprensibile distrazione, temi cruciali come quelli del cambiamento climatico che resta e si consolida come piaga di maggior rilievo dei nostri giorni. La sua arte è uno scavo nella sua anima sensibile e profonda, espressione della sua stanchezza, del suo esaurimento, della sua paura, della sua confusione e della sua angoscia. Riesce a ricordarci che fermarci un attimo, soprattutto in un momento simile, non vuol dire per forza essere visti come deboli o patetici. In poche parole la sua arte dona alle persone, il fantastico dono di non sentirsi a disagio, ma anzi di sentirsi assolutamente autorizzate a esprimere tutto ciò che hanno dentro.

 

Ciao Alex e benvenuto sul blog di Elephant Music. So che hai potuto apprezzare il nostro lavoro su L’Olifante e ti ringraziamo partendo con una domanda per rompere il ghiaccio. Come è stata la tua estate da musicista canadese negli Stati Uniti?

 

Grazie mille Roberto, è un privilegio meraviglioso per me condividere qualche parola con te. Ed è un onore contribuire al mondo che ruota attorno a L’Olifante, così come entrare in contatto con il pubblico italiano,

 

Per quanto riguarda la mia estate, è stata ricca di tante incredibili esperienze perché ho acquistato un boutique hotel nell’iconica città di Tangeri in Marocco, chiamato “La Maison de Tanger”. Un progetto pazzesco che ho il piacere di condividere con il mio compagno di band e “complice”, Jeff. Va da sé che la maggior parte dei nostri amici hanno pensato che fossimo o “visionari” o “pazzi” quando hanno saputo che stavamo acquistando un hotel in Africa nel bel mezzo di una pandemia. Immagino siamo un po’ entrambe le cose..! Ho appena finito di passare un mese laggiù, ed è davvero un posto spettacolare dove soggiornare, riposare, definire e ridefinire sogni, quasi come fosse un posto per riavviare la vita o avere un completo rinascimento. Siamo indicibilmente fortunati a disporre di un posto così, soprattutto perché collaboreremo con artisti diversi per creare progetti unici e singolari di arte, musica e letteratura nei prossimi mesi. È davvero immensamente stimolante.

 

Siete chiaramente tutti benvenuti se volete venire a trovarci.

 

Durante gli Europei di calcio, le differenze di comportamento hanno un po’ mostrato la vera faccia dell’Europa quando si tratta di affrontare il razzismo (pensiamo ai giocatori in ginocchio o col pugno alzato per ricordare George Floyd). In quanto artista, scrittore e attivista, cosa hai pensato vedendo la mancanza di supporto da parte di alcune compagini nazionali nei confronti di quel gesto di solidarietà?

 

Diventa una sfida sempre più difficile per me mantenere la giusta prospettiva quando si affrontano queste tematiche. Devo imparare a gestire la mia intolleranza verso le ingiustizie sociali conservando la speranza che persino il più disperato degli individui passa essere trasformato a un certo punto della sua vita. Sono cresciuto in un quartiere povero nel quale la violenza era vista come una questione di sopravvivenza. Da adolescente ho fatto parte di una gang di strada. So che certi intollerabili aggressioni possono originarsi da radici sociali ben più complesse di quanto la loro natura brutale possa far pensare. Credo però anche che alcune di quelle persone, delle quali ho fatto parte anche io, possono non solo cambiare le loro visioni, ma anche essere trasformati in membri positivi, sani e curativi delle loro comunità. Ho visto troppe trasformazioni per perdere la fede nelle persone, persino quando quello che sono queste come individui, quello in cui credono, quello che rappresentano e quello che fanno, sono problematici per quelli che sono i miei valori umani. Quando mi sento sul punto di perdere la speranza nel cambiamento, mi torna in mente quello che mi disse un amico quando abbandonai la violenza e tutta la rabbia distruttiva che mi portavo dentro: “Non dimenticare mai da dove vieni, Alex. Non dimenticare che un tempo sei stato indegno dell’empatia e della pietà di molte persone. Perché se lo fai, avrai disonorato quelli che ti hanno coperto le spalle quando vivevi nella disperazione. Ma, soprattuto, vorrà dire che chiunque sia oggi come sei stato un tempo tu non ha alcuna chance di rialzarsi”. E credo sia vero, non importa quanto sia difficile per me anche solo riconoscere l’essenza liberatoria del perdono per accendere a una profonda rinascita nel riscatto… Almeno è così che la vedo io.

 

Parlavamo prima di Tangeri. Quanto è stato importante personalmente per te visitare quei luoghi e, in generale, quanto peso dai alla dimensione del viaggio nel tuo processo creativo?

 

Tangeri ha cambiato tutto per me. Ho quasi vagabondato laggiù cinque anni fa. Mi sentivo arido da un punto di vista emozionale, stremato fisicamente e spiritualmente distrutto. Mi trovavo in uno stato di depressione funzionale. Ero personalmente perso e contemplavo l’idea di una soluzione permanente per quella che era essenzialmente una disperazione temporanea. Tangeri mi accolse senza giudicarmi. Ero Alex. Non avevo bisogno di essere forte. Non avevo bisogno di essere invulnerabile e perfetto. La città e i suoi abitanti mi hanno mostrato che nessuno è mai danneggiato oltre ogni possibilità di essere riparato. E, sebbene potrei non sentirmi mai “aggiustato” – perché non c’è alcun bisogno di aggiustarsi – non esiste vita nell’accettare semplicemente di esistere. Tornai da quell’iniziale viaggio a Tangeri rinnovato. Alcune parti di quel viaggio diedero vita al mio primo album solista, Windows in the Sky. E la città è diventata un rifugio di profonda riconciliazione tra i miei compagni di band, amici e me stesso, quando vennero a trovarmi per una settimana – che si trasformò in 6 mesi..!

 

Quanto è stato condizionato il tuo processo creativo dalla pandemia? Cos’altro ha determinato per te questo periodo?

 

A essere onesto, sono incredibilmente felice, perché la pandemia non ha toccato in nessun modo il mio processo creativo. Ecco perché, invece di scrivere un altro album, ho iniziato a scrivere un libro. Sono rimasto alla larga da ogni potenziale alterazione del mio moto creativo, e poiché sono abituato a vivere in una sorta di isolamento da quando mi son trasferito sulle colline della Virginia con i miei due cani, non ho sofferto la pandemia come tanti. Il COVID è diventato un’opportunità per fare un reset generale delle infrastrutture business/organizzative nelle quali mi sono evoluto in quanto interprete e artista DIY. Sono stato triste (e al contempo felice) per essermi separato da collaboratori di lunga data che volevano esplorare nuove avventure personali e ho finalmente trovato il coraggio di ammettere a me stesso che dovevo lasciare andare alcuni elementi tossici di cui mi ero circondato da un bel po’ di tempo. Non è mai facile, almeno per me, accettare la realtà di dover chiedere a qualcuno di lasciare quella che per me è una famiglia, una comunità. Mi sono sempre chiesto cosa avrei potuto fare diversamente, cos’altro avrei potuto tentare, ecc. Ma a volte, per quanto spezzi il cuore, è semplicemente impossibile continuare a evolversi con chi non condivide almeno qualche elemento dei valori della tua community. Quando perciò si arriva a certe conclusioni, fa parecchio male, per quanto fosse diventato sempre più necessario. Questo è stato il mio processo COVID: riavvio e ristrutturazione… Quello e, purtroppo, il doversi confrontare con la perdita di amici molto stretti e preziosi, vittime delle implacabili mani della disperazione. Quello è stato terribile

 

In generale come si presenta oggi il processo creativo che porta alla nascita delle tue canzoni?

 

Per me, si parte sempre da una parola o da un insieme di parole. Non mi metto nemmeno a considerare elementi sonori fino a che non ho trovato quella parola o quell’ensemble di parole. Ecco perché parto sempre dal titolo del progetto. Prima di quello, si tratta di vagabondaggio creativo, una fase fondamentale un po’ in tutto il processo. Dopo aver trovato le parole, il titolo, queste danno vita a immagini che alla fine si trasformano in testi e ispirano suoni. Quando tutto il processo è onesto, mi fido di dove i miei istinti mi portano. A volte appare tutto così chiaro da riuscire a muovere il processo creativo dalla traccia 1 all’ultima in ordine. Ma allo stesso tempo, cerco il più possibile di rompere quegli schemi che potrebbero portare la “sicurezza” a mettere i bastoni fra le ruote alle emozioni che vorrei dipingere in una canzone, in un album. Per questo, per me, ogni pezzo incorpora la natura dell’album nella sua interezza, come fossero tutti individualmente e singolarmente parti di un quadro più grande, quello del disco. Faccio così spesso impazzire i miei collaboratori creativi con quella che loro chiamano la mia “incorruttibile testardaggine” nel voler scoprire sfumature e colori di un’immagine invisibile per la quale continuo a lavorare fino a scoprirne tutta l’estensione.

 

Hai un “locus amoenus” dove registrare? C’è uno studio in particolare dove preferisci produrre la tua musica?

 

In passato ho disprezzato il tempo da passare nello studio, principalmente perché ero paralizzato dalla mia paura di apparire inadeguato davanti agli altri. Inizialmente non ero così patologicamente insicuro, ma ho cominciato a diventare sempre più spaventato ogni volta che dovevo stare di fronte a un microfono. Mi sentivo fuori luogo, non ero mai abbastanza, mai totalmente giusto, una sorta di pessima imitazione di me stesso. Tutto è cambiato dopo Tangeri. Dopo, è diventata tutta una questione di momento, emozioni, sensazioni… Le questioni tecniche sono diventate un problema di qualcun altro. In un certo senso non me ne poteva importare meno. Era “così” o “non così” ed ero io a scegliere. Non puoi fingere onestà, così come non puoi facilmente fabbricare la verità.

 

Per me non si tratta della grandiosità del posto dove lavoro. Ho a disposizione uno dei più incredibili recording studios del Nord America, eppure ho deciso di registrare Windows in the Sky nella mia casa in Virginia, in un modo molto “vecchia scuola” e “root”. Finché è reale e onesto, il resto non conta nulla. Persino i miei cani erano nella sala di ripresa, a volte abbaiando. Non puoi essere più puro e autentico di così.

 

Ora che la pandemia sta rallentando, hai già nei tuoi piani una fermata in Europa o meglio qui in Italia?

 

Assolutamente sì. Mi sto prefigurando la mia prima volta in Italia ormai da un bel po’ di tempo! Sono stato più volte invitato dal frontman degli Your Favorite Enemies, e ancora più volte da quando ho iniziato il mio personale percorso creativo. Per me è importante rispettare ogni step che conduce verso i concerti al chiuso. Non sarei in grado di convivere con l’idea che qualcuno sia stato male – o peggio – perché io ho deciso di ritornare on the road con leggerezza. Per me non si tratta di discutere della legittimità dei vaccini e dei green pass. Si tratta di rispettare la vita delle persone, in modo da poterci poi tutti vedere a inizio 2022 o dopo… Sicuro è che farò di tutto per tenere la gente al sicuro. Non c’è dubbio per me, anche se capisco che non avremo mai un ambiente a rischio-zero. Si tratta di fare tutto il possibile per prevenire altre sofferenze. Detto questo, sì, sarò presto in Europa e verrò a condividere momenti collettivi con voi in Italia. È passato davvero troppo tempo, quindi non vedo l’ora.

 

Fino ad allora, ringrazio te Roberto e tutto il team di Elephant e de L’Olifante, per avermi dato l’opportunità fantastica di parlare di Tangeri, empatia, trasformazioni personali, fede, movimenti creativi e valori… Significa molto per me. State al sicuro e ci vedremo presto. Non esitate a scrivermi, perché si tratta tutto di comunione collettiva e non solo di me stesso.

 

Grazie a te, Alex!

Roberto Meli

Roberto Meli

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