Quando smetteremo di ascoltare musica con Spotify?

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Questa è una di quelle domande che, da amante dell’ascolto analogico quale sono, mi sono sempre posto, sin dal momento in cui Spotify ha iniziato a circolare tra i nostri smartphone.

Diciamocelo chiaramente: poter ascoltare un qualsiasi brano in un qualsiasi momento della giornata non è un male assoluto. Ridurre lo sforzo fisico ed economico per compiere un’azione quotidiana come l’ascolto della musica ha, per molti, i suoi pregi, ma anche (e soprattutto) i suoi difetti.

Per questa volta però, non voglio fare uno sproloquio sull’importanza di comprare i dischi, sulla scelta del giusto sistema di riproduzione audio e su discorsi relativi ai diritti d’autore. Niente di tutto ciò. D’altronde Slash (sicuramente una fonte più autorevole di me) si è già espresso sull’argomento:

“Questi sistemi di streaming non ci fanno guadagnare nemmeno lontanamente quanto ci facevano guadagnare le royalties derivate dall’acquisto di un CD o di un disco. Si può dire ufficialmente che questo sistema ha danneggiato il business musicale in un certo senso. Per gli utenti è molto più facile e conveniente – ha sottolineato – ma di certo le piattaforme di streaming non rappresentano un vantaggio per gli artisti di oggi”.

Quindi, consapevole del fatto che non tutti siamo degli audiofili ossessionati dalla qualità, mi risulta difficile portare avanti un discorso trasversale. Con questo però non vorrei lasciar passare il messaggio che sia giusto che Spotify trasmetti i  brani in una qualità talmente bassa da farmi rivoltare lo stomaco.  Ci sono migliaia di motivazioni che “giustificano” la piattaforma streaming più famosa, per lo più legate ai costi della banda, di trasmissione e dei diritti. Costi che la società di Ek a quanto pare non riesce più a gestire tanto facilmente.

Ragion per cui, con una chiave di lettura propedeutica a focalizzare un aspetto non di poco conto, vi invito a riflettere sulla possibilità di valutare delle alternative al servizio di streaming svedese.

Difatti, viviamo un momento storico di saturazione del mercato da parte dei colossi del web dello streaming e, a quanto pare, si giocano la partita della musica in streaming tentando forme di abbonamento sempre più economicamente competitive. Lo stesso Spotify ha promosso la formula “Family” solo in un secondo momento, puntando inizialmente sull’ abbonamento ad personam.

Sarà l’alta qualità audio a portarci a disinstallare Spotify?

Giunti a questo punto ci si pone di fronte a un effetto contraddittorio. Se si gioca al ribasso con pacchetti economicamente convenienti, come è possibile fare un discorso qualitativo sul prodotto che gli altri competitor immettono sul mercato? Semplicemente perché non è il loro core business. Mi spiego meglio.

Se Spotify nasce esclusivamente per l’ascolto in streaming di musica, i suoi competitor che vedono Apple, YouTube e Amazon in prima fila, non hanno il minimo interesse a ricevere i propri introiti dal mondo della musica in streaming. La diversificazione che gli altri brand fanno è di vitale importanza per garantire un servizio qualitativamente migliore. Addirittura un abbonato Amazon Prime riceve la possibilità di ascoltare musica grazie ai diversi pacchetti legati al mondo Amazon (certamente non nato per trattare di musica). Inoltre, a livello percettivo, abbinare l’ascolto di musica ad altri prodotti di qualità dei brand citati, li ha aiutati sicuramente a diventare degli importanti player nel mondo dello streaming. Apple Music ad esempio funziona poiché chi è abituato ad ascoltare musica con dispositivi Apple potrebbe preferire il suo servizio di streaming proprietario piuttosto che quello di terze parti.

Di conseguenza, Spotify, non avendo mai diversificato su altri fronti, è destinato (salvo colpi di coda improvvisi del suo CdA) a cedere il passo agli altri player sul mercato.

Tornando a parlare di qualità, è dunque una naturale conseguenza il fatto che gli altri sistemi di streaming riescano a investire maggiormente, proprio perché non devono badare ai costi unitari del servizio di streaming, che rientrano in costi della società ben più ampi.

Cosa intendiamo con musica in alta qualità?

Il formato da sempre associato alla diffusione della musica online è sicuramente l’mp3 per via della dimensione in byte dei file e della velocità di trasferimento. Parliamo tuttavia di file con compressioni estreme, che compromettono di molto la qualità del file audio originale. Il formato FLAC è in assoluto il migliore come standard qualitativo per lo streaming, con bitrate elevati.
A garantire una trasmissione di musica in questo formato ci sono comunque diversi precursori, che consideriamo degli outsider in questa grande sfida per via dell’elevato costo dei loro abbonamenti. Primo tra tutti ad aver deciso di proporre musica in alta qualità è stato Tidal. Tuttavia, per godere dei formati FLAC della piattaforma, è necessario pagare un fee di $19,99 (altino considerando gli standard di mercato). Idem per quanto riguarda Deezer Hi-Fi.

Ad entrare a gamba tesa nello scontro (passatemi il termine calcistico), arriva Amazon Music HD, che offre agli abbonati più di 50 milioni di brani in .wav 16 bit e 44,1 kHz, la stessa qualità di un CD. Inoltre, la piattaforma mette a disposizione milioni di canzoni in modalità ultra HD, a 24 bit e 92 kHz. Quali strumenti per riprodurre al meglio questi brani? Chiedere a una certa Alexa

Battute a parte, Amazon Music HD è già disponibile negli USA, dove è sufficiente pagare un’integrazione al proprio abbonamento Prime per godere della qualità HD. La musica targata Amazon sarà finalmente non compressa, a differenza di ciò che accade nella maggior parte degli mp3 presenti in rete e nei brani dei principali servizi di streaming, senza alcuna perdita rispetto alla qualità originale. Davvero un enorme passo da giganti. Chiaramente per poter godere di tali vantaggi sarà necessario avere una connessione abbastanza stabile tra gli 1,5 e i 2 Mbps per l’HD e tra i 5 e i 10 Mbps per la qualità Ultra HD (insomma quella necessaria per guardare dei normalissimi file video).

Conclusa questa parentesi descrittiva, occorre sottolineare che l’obiettivo di questo pezzo non era assolutamente quello di tessere le lodi nei confronti del lavoro di Amazon, ma la chiave di lettura deve essere univoca: trasmettere musica in streaming in alta qualità è possibile. E se la compagnia di Jeff Bezos ha deciso di investire in questo senso, il messaggio è forte e chiaro: questo è il percorso che Amazon sta tracciando per garantire all’utente un esperienza d’ascolto sempre più convincente e completa.

Da questo punto di vista anche chi è affezionato a certi standard avrà modo di ascoltare musica in streaming senza rinunciare alla qualità del disco, anche se, rimango dell’opinione che l’esperienza sensoriale di un ascolto analogico e del contatto col supporto fisico, per buona pace di Amazon, Spotify e Apple Music, resterà comunque un’altra storia.

Giancarlo Caracciolo

Giancarlo Caracciolo

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