The Jazz Singer. Quel primo incontro tra parola e cinema a ritmo jazz

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The Jazz Singer (Alan Crosland, 1927): come due industrie hanno spinto una nuova tecnologia

Wait a minute, wait a minute. You ain’t Heard nothin’ yet!” . Questa è stata la prima battuta mai ascoltata in una sala cinematografica, il vagito del cinema sonoro.

Mi piacerebbe inaugurare questa mia collaborazione con la redazione di Elephant Music proprio partendo dal momento in cui musica e pellicola diventano una cosa sola, per lo meno in modo apparente. Infatti, fin dagli esordi, le proiezioni nei teatri e nelle sale cinematografiche (che ancora non erano tali a tutti gli effetti) venivano animate da musica dal vivo, o anche su disco, da letture e rumori degli imbonitori. Per non parlare dei dibattiti che si accendevano nella platea tra gli stessi spettatori con i mille “Che ha detto scusa?”, “Nooo, ma quindi la moglie è l’assassina!” “Macché, la moglie e la sorellastra sono la stessa persona!”, e non mancavano quelli che preferivano raccontarsi la giornata parlando del più e del meno…insomma la classica proiezione odierna ma con almeno il quadruplo delle interazioni.

Capite bene che era un cinema “muto” di nome, ma non proprio di fatto.

L‘invenzione del cinema di per sé fu un evento epocale che lasciò di stucco i primi spettatori, poter ascoltare dei suoni in sincrono a ciò che veniva proiettato fu un’esperienza altrettanto stupefacente. Oggi siamo già molto più smaliziati nei confronti di certe innovazioni tecnologiche, specie nel campo cinematografico, ma allora questa invenzione destò pareri contrastanti e dibattiti accesissimi.

L’accelerazione verso questa nuova frontiera del cinema fu spinta soprattutto dalla concorrenza tra case cinematografiche. Nei primi anni ‘20, la Warner Bros. stava cercando di farsi strada tra le altre major che sfornavano grandi successi e si accaparravano grandi fette di mercato. Quindi, quale mossa migliore se non quella di attirare pubblico con qualcosa che gli altri ancora non avevano? Il passo fu fatto nel 1925, assorbendo la Vitagraph e avviando una collaborazione con la Western Electric (compagnia fondata nel 1869 specializzata nella produzione di apparecchiature telefoniche), la quale mise a disposizione le proprie conoscenze ingegneristiche per dare vita al sistema di registrazione Vitaphone, primo di moltissimi altri che seguirono negli anni.

Al Jolson e la parola al cinema

Il primo risultato di questa venture fu la produzione di Don Juan (Alan Crosland, 1926), considerato il primo film con colonna sonora sincronizzata, costituita da musica e suoni. La vera rivoluzione però si ebbe l’anno successivo con The jazz singer, sempre sotto la regia di Alan Crosland. È questo il primo film commerciale in assoluto a dare voce agli attori, anche se per pochissime battute, quasi esclusivamente del protagonista. Gli aspetti che si annodano attorno a quest’opera sono molteplici. Prima di tutto la scelta di una star canora da inserire nel cast, ovvero Al Jolson la cui vita e carriera diventano parte della storia creando una sorta di biopic idealizzato. Una scommessa del tutto casuale che determinò il successo del nuovo sistema tecnologico attirando il pubblico nelle sale.

Jolson era figlio di un rabbino ortodosso lituano che si era trasferito con tutta la famiglia in America e, fin da piccolo, Al si era esibito nei vaudeville e nei circoli militari come cantante e intrattenitore.

La maschera che si crea, e che da lì in poi lo caratterizzerà, si richiama alla pratica del blackface ovvero dipingersi la faccia di nero imitando i cantanti jazz afroamericani che avevano dato origine al genere. Jolson crea questa forma di esibizione per autorizzarsi, in quanto bianco, a cantare una musica che gli afroamericani custodivano gelosamente.

La storia narrata dal film è più meno la stessa, ma con molti più aspetti drammatici. Il giovane protagonista, Jackie Rabinowitz, anche lui figlio di un rabbino del ghetto di New York, vuole intraprendere la carriera di cantante iniziando proprio dalle locande di quartiere. Il ragazzino però abbandona i genitori a causa dei numerosi contrasti col padre e inizia a girovagare lungo gli Stati Uniti. Dopo anni in piccoli teatri, arriva finalmente alla ribalta di Broadway esibendosi in un canto dedicato alla madre (Mother of Mine, Louis Silver e Grant Clarke). Lo fa con la faccia dipinta di nero mostrando a tutti il cantante di jazz che è in lui.

Il percorso parallelo delle parole e del jazz

La trama di per sé, è molto semplice, per la critica risultò anche troppo smielata e dai toni razzisti ma, a mio avviso, a essere raccontata è un’altra storia che riguarda proprio l’avvento della parola nel muto. Un evento piuttosto delicato che viene introdotto poco alla volta: prima le canzoni cantate, quelle del piccolo Jackie alla locanda del ghetto. Anni dopo il frastuono di stoviglie e degli avventori del Coffee Dan’s, in cui si esibisce l’ormai adulto Jack Robin che prima canta e poi, come se nulla fosse, finalmente parla: “Aspettate un momento. Un momento. Non avete ancora sentito niente”. Frase casuale (la registrazione nacque da un errore del fonico che lasciò il microfono acceso tra una canzone e l’altra) ma con un forte sentore sibillino. E poi il conflitto con la vecchia generazione paterna, che vuole portare avanti la tradizione dei canti giudei, e quella moderna del figlio che invece è proiettato sui grandi palcoscenici col jazz. In un dialogo tra i due tutto ciò e molto evidente. “Tu appartieni al vecchio mondo. Se fossi nato qui, la penseresti come me. Le tradizioni sono importanti, ma oggi è un giorno nuovo”. Questo stesso conflitto si rifletté, all’epoca, proprio sulle implicazioni che riguardavano l’introduzione del sonoro al cinema. Per molti quell’arte doveva restare così com’era, muta, in quanto la parola avrebbe costituito un forte fattore di distrazione dall’arte pura dell’immagine. Vi era poi la questione economica da sciogliere, con esercenti e produttori che non avevano intenzione di investire fatica e denaro in una tecnologia che secondo alcune previsioni sarebbe nata e morta lì.

I protagonisti di questo dibattito sono tanti, ma come mettere un freno alla modernità? Il jazz fu uno dei figli del nuovo secolo, anch’esso inizialmente bistrattato e denigrato dalla critica musicale per poi diventare così apprezzato che anche i bianchi, pur di cantarlo, erano disposti a dipingersi il volto di nero. Da qui la scommessa per la Warner di creare un film ad hoc per il pubblico usando un genere che, affrontate le difficoltà iniziali, ha fatto la storia della musica e della cultura mondiale, così come alla fine è stato per la parola nella storia cinematografica.

 

Note

Per approfondire  il legame tra lo sviluppo tecnologico e quello cinematografico vedi 1927-2017: anniversaire du «Chanteur de jazz» (1927), triomphe du Vitaphone. Conférence de Jean-Pierre Verscheure https://vimeo.com/210732611. e 1927: The Jazz Singer – How The Movies Learnt To Talk.: https://www.youtube.com/watch?v=ZlAt2lcg5ZM.

Emanuela Palermo

Emanuela Palermo

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