Raccontare una finale come quella di ieri sera è quasi un’impresa titanica, perché al netto dell’esito finale emergono tanti punti di domanda su quale sia il senso dei verdetti incassati dalle canzoni presentate.
Ma andiamo con ordine e, prima di analizzare la gara, partiamo da uno dei migliori momenti musicali della serata, e no, non parlo di Achille Lauro, ma di Ornella Vanoni che, con un medley di classici prima e l’inedito con Francesco Gabbani poi, dà una lezione di cosa vuol dire interpretare una canzone alla veneranda età di 87 anni. Cosa che non si può dire di Umberto Tozzi, rimasto decisamente a corto di fiato e palesemente in difficoltà nel riproporre i suoi classici. Mentre a risollevare le sorti del momento amarcord ci pensa Michele Zarrillo a notte fonda, la cui voce sembra non risentire degli effetti del tempo.
E veniamo ora al punto cruciale. Le canzoni in gara sono state giudicate dal televoto, che puntualmente ha portato nel suo piccolo a una catastrofe più che a una rivoluzione; un po’ come successo due anni fa, abbiamo assistito a un podio raramente così mediocre. A destare perplessità è l’intera top ten, a dire il vero.
Per carità, dato come si erano messe le cose, la vittoria finale dei Maneskin è stata una liberazione (visto il podio con il duo Michielin/Fedez e Ermal Meta), ma quando leggi che, a rimanere fuori dai primi dieci è gente come Max Gazzè, Ghemon, Extraliscio, Fulminacci e La Rappresentate di Lista, capisci che in chi vota c’è qualcosa che non va.
Chi aveva la speranza di vedere sul Podio Willie Peyote o Colapesce Dimartino è rimasto deluso, anche se il premio della Critica al primo e il premio Lucio Dalla ai secondi sembra più una magra consolazione. In tema premi, inspiegabile il premio al Miglior testo a Madame per una normale canzone d’amore, e il premio al Miglior arrangiamento assegnato dall’orchestra a Ermal Meta, sintomo forse di un eccessivo attaccamento alla tradizione.
Alla fine però si può dire che per un Fesival “anomalo” già dalle prime fasi dell’organizzazione, si è avuta una classifica finale “anomala”, meritocratica solo per gli ultimi posti. Beh almeno in questo c’è stata coerenza.
Le performance dei Big nella serata finale del Festival
Ghemon – Momento perfetto: sul palco è più sciolto, forse si lascia prendere dalla troppa frenesia, ma il pezzo c’è e rimane godibile. Voto: 8
Gaia – Cuore amaro: Le parole della strofa sono impercettibili, spero non sia un nuovo problema tecnico altrimenti ci tocca risentirla. Voto: 4,5
Irama – La genesi del tuo colore: abbonato, per ovvi motivi, alla registrazione delle prove generali, nulla si può dire sull’interpretazione, ma il pezzo è molto radiofonico, pronto per fare le fortune di RTL 102,5. Voto: 5
Gio Evan – Arnica: finalmente si presenta vestito elegante, mettendo via quei bermuda inguardabili che distraevano non poco; prova a metterci un po’ di carica in più, ma il pezzo non c’è. Voto: 4,5
Ermal Meta – Un milione di cose da dirti: è palese che vuole vincere facile, si è messo anche il vestito di Diodato dello scorso anno. Lui canta bene, non fosse per il brano prevedibile per i canoni sanremesi. Voto: 6
Fulminacci – Santa Marinella: non un semplice cantautore, ma anche un interprete sempre più degregoriano. Voto: 7
Francesco Renga – Quando trovo te: questa volta l’audio è ok, ma il risultato non cambia. La sua partecipazione a questo festival si rivelerà dimenticabile, come le altre dopo la vittoria nel 2005. Forse si dovrebbe pensare a una reunion con i Timoria. Voto: 4,5
Extraliscio & Davide Toffolo – Bianca luce nera: ormai hanno sdoganato ogni cliché di nicchia. Una bella rivelazione. Voto: 7
Colapesce Dimartino – Musica leggerissima: finalmente anche loro sono più sciolti, la canzone ha già preso la sua strada. La dimostrazione che le cose semplici non sono per forza stupide. Voto: 7,5
Malika Ayane – Ti piaci così: quando Pacifico l’ha scritta si vede non doveva essere particolarmente in forma. Lei prova a metterci del suo, ma si salva poco. Una occasione mancata per tornare alla ribalta. Voto: 5,5
Francesca Michielin e Fedez – Chiamami per nome: stavolta non c’è il nastro distanziatore e Fedez sembra imitare Mahmood, il tutto condito con lacrime finali stile “C’è posta per te”. Voto: 5,5
Willie Peyote – Mai dire mai (la Locura): sempre più trascinante, è sicuramente la rivelazione del festival per un pubblico tradizionale. La sua crescita è già una vittoria. Voto: 8
Orietta Berti – Quando ti sei innamorato: ormai anche questa è entrata in testa; fin dalla prima sera ha mostrato sempre una certa coerenza con il suo genere. Questa volta però un voto lo voglio dare. Voto: 5
Arisa – Potevi fare di più: unghia di Achille Lauro a parte, ha fatto un festival più che dignitoso, e ha usato al meglio la voce per compensare un testo non esaltante. Comunque “potevi fare di più”. Voto: 6
Bugo – E invece sì: chiedere a Bugo di essere intonato è come chiedere a Ibra di segnare un rigore quest’anno, e poi anche a lui piace provocare: ha la giacca del colore dei capelli di Morgan. Aveva le carte in regola per riscattarsi, ma non ha colto appieno l’occasione. Voto: 5,5
Maneskin – Zitti e buoni: anche loro sembrano omaggiare Achille Lauro con la sua tutina ormai famosa; ok il rock, ok l’energia, ok la voce portata all’estremo, ma la scatarrata iniziale proprio no. Voto: 6,5
Madame – Voce: forse questa è la sua interpretazione migliore, riesce a essere più contenuta, ma tutta questa esaltazione verso di lei rimarrà uno dei misteri di questo Festival. Voto: 5
La Rappresentante di lista – Amare: si conferma come le altre sere, hanno voluto strafare un po’, ma il pezzo non ne ha pagato. Potranno togliersi qualche soddisfazione oltre il festival. Voto: 7
Annalisa – Dieci: l’ora tarda non la spaventa; è stata la migliore interprete femminile di questo Festival, peccato per il pezzo che è un gradino sotto. Voto: 6,5
Coma_cose – Fiamme negli occhi: un altro bel pezzo efficace che è cresciuto sera dopo sera, e anche loro ne escono dignitosamente. Voto: 7
Lo Stato Sociale – Combat pop: a loro il merito di tenerti sveglio quando a una certa la palpebra cala. Caciaroni quanto basta, hanno saputo portare dei contenuti con l’ironia. Voto: 6,5
Random – Torno a te: ecco lui, invece, non ha portato nulla a parte una miriade di stecche. Flop assoluto. Voto: 3
Max Gazzè – Il farmacista: dopo Leonardo e Dalì arriva Clark Kent (un po’ Jannacci)/Superman. Cerca di sfruttare le poltrone in platea per tenersi in equilibrio e imitare il kriptoniano ma gli va male e rimane provato, fortuna che la canzone è decisamente meglio, forse paga la struttura complessa ma non manca l’inventiva. Voto: 7,5
Noemi – Glicine: per lei è stato un festival un po’ insipido insipido, buone tutte le interpretazioni, ma il testo è l’anello debole di un pezzo che non riesce a prendere. Voto: 6
Fasma – Parlami: ha gli occhi assonnati; l’orchestra cerca di metterci un po’ più di energia, ma senza successo. Ridondante. Voto: 4
Aiello – Ora: la sua esperienza in riviera sarà ricordata più per i meme che per la canzone e forse ci dispiace un po’ per lui che lascia il palco con la voce tremante e un po’ risentita. Nel bene o nel male, purché se ne parli. Voto: 4