Festivàl e il resto scompare. Che musica siamo oggi?

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“Come un ruscello che scorre tra i monti e le valli questa mia vita se ne va quant’è bella la gioventù ma all’improvviso sei vecchissimo”

(Elio e le Storie Tese – Storia di un bellimbusto, 2009)

 

Forse è un po’ spiazzante iniziare un articolo che pubblichiamo durante la settimana di Sanremo e che ha il Festivàl nel titolo con le parole di un pezzo che all’Ariston non è mai stato cantato. Ma la verità è che questo articolo non parla di Sanremo, almeno non solo. E poi, per chi scrive, la kermesse è indissolubilmente legata alle esibizioni che ci hanno regalato Elio e le Storie Tese a Sanremo dal ’96 in poi.

 

Soprattutto, quelle parole tratte dalla Storia di un bellimbusto sintetizzano un po’ quello che è stato il 2020 per molti: un anno “eccezionale”, vissuto su tempi dilatatissimi, nauseante per la ripetitività, preoccupante, un “anno perso”, dopo il quale ti senti per forza molto più vecchio di prima. E forse anche per la musica italiana, come collettività di artisti, professionisti e amatori, è stato un po’ così.

 

Da Diodato ’20 a Diodato ’21: il tour mancato che grida vendetta

 

Sanremo 2021 si è aperto letteralmente come si era chiuso, con Diodato sul palco. Amadeus e Fiorello hanno cercato così di riallacciare i ponti con un mondo musicale pre-Covid che non sappiamo in realtà se e quando tornerà. Ora, provate a mettervi un momento nei panni di Antonio Diodato, un ragazzo che cantava i Radiohead per arrotondare durante gli interminabili anni di gavetta nella provincia italiana. Finalmente arriva il suo momento e si fa trovare pronto, anzi prontissimo. Spara in un anno quello che è probabilmente l’album-climax della sua carriera e vince Sanremo e Nastro d’Argento. Il premio? Un tour con meno date di quelle che facevo io in estate con la mia vecchia band metal. Che sfiga!

 

Un anno senza concerti: abbiamo imparato qualcosa?

 

Il fatto che Diodato abbia la forza di prestarsi alle gag di “Ama” e “Ciuri” penso sia la più grande dimostrazione di quanto sia grande la forza di spirito e il cuore di questo ragazzo. Se l’anno di Diodato è stato così compromesso e rovinato dalle storiacce del 2020, immaginate quello degli altri “big”. C’è crisi dalla testa in giù. Ok i balconi, ok le dirette in streaming, ma i tour sono stati pressoché inesistenti. Le entrate più grandi per quelle PMI che si chiamano Gazzè, Fedez, Laura Pausini, Annalisa, Salmo, ecc. semplicemente non ci sono state.

 

E allora che facciamo? Ci piangiamo addosso? Magari no, magari riusciamo a non perdere anche il 2021 e il 2022 in attesa che i vaccini facciano la loro parte e che i ristori arrivino. Servono proposte concrete e fattibili per tornare a far girare la macchina, e bisogna inevitabilmente partire dalla testa. Non a caso Sanremo si è fatto lo stesso, no? Usiamo gli strumenti digitali sfruttando davvero le loro potenzialità. L’Italia politica non sta facendo abbastanza, lo sappiamo, ma forse ai tavoli con Dario Franceschini nel rinominato Ministero della Cultura, bisognerebbe sedersi avendo dimostrato che effettivamente si può produrre reddito con lo spettacolo anche senza riempire stadi e prati. Altrimenti la scelta politica, sarà sempre lesiva per il comparto musicale.

 

Concerti ibridi in streaming: meno parole più date

 

Chi ha la forza economica per farlo lo faccia e lo faccia con regolarità. All’estero tutti i grandi player della musica si stanno attrezzando per “fatturare” in maniera rilevante con i concerti in streaming. Live Nation ha acquistato la piattaforma Veeps, Universal Music ha investito sulla piattaforma VenewLive, e ora Sony Music, insieme al gigante cinese NetNease, è pronta a inglobare Maestro, una company il cui core business sono proprio i live in streaming. Anche in Italia ci sono interlocutori e competenze per costruire un sistema funzionante imperniato sui concerti in digitale.

 

Abbiamo però la netta impressione che ci sia una certa diffidenza e un immobilismo diffuso tra gli entourage degli artisti. Non stiamo portando abbastanza musica su PC e smartphone italiani e soprattutto non stiamo provando dare un impulso a quella che può essere, a prescindere da tutto, una nuova opportunità per l’industria discografica nazionale.

 

L’Ultimo Concerto tra protesta civile, recriminazioni, successi ed errori

 

I luoghi della cultura e, nella fattispecie, i palchi e i live club sono stati condannati al silenzio nel 2020. E le colpe delle istituzioni oggettivamente ci sono. E allora cosa si fa in occasioni così? Si fa lotta insieme e si organizza una specie di megasciopero 2.0. Creare un disservizio inaspettato per sensibilizzare sulle chiusure e le difficoltà dei club italiani, questo l’obiettivo. L’Ultimo Concerto è stato questo, ma poi alla fine il disservizio l’hanno subito quei fan che sarebbero magari anche disposti a pagare per aiutare il sistema dei concerti a ripartire, anche solo in streaming o con soluzioni ibridate.

 

L’Ultimo Concerto è stato un esempio brillante di protesta civile, un flashmob avanguardista. Settimane di hype per un concerto che poi non c’è stato. Le persone si sono incazzate, probabilmente le persone sbagliate, però. Le fanbase degli artisti coinvolti non lo meritavano. E forse si può allora comprendere il perché la polemica sia montata sui social così tanto e perché gli artisti stessi, nonostante il nobilissimo intento, siano stati aspramente criticati.

 

Magari la prossima volta il disservizio si potrebbe provare a crearlo in una manifestazione nazionalpopolare come Sanremo, fuori da quella nicchia che è già sensibilizzata sul tema. Ma non è il momento di essere divisivi. Se L’Ultimo Concerto riuscirà a far ottenere anche solo un incontro in più tra artisti, associazioni di categoria come KeepOnLive, sindacati e istituzioni, allora potremo dire che è stato un successo.

 

In attesa dell’intervento dello Stato, però, si potrebbe magari pensare di “risarcire” i fan delusi con un Ultimissimo Concerto, con gli stessi grandi nomi, in streaming e stavolta a pagamento, per raccogliere una base concreta di fondi per i club, oltre ogni accusa di assistenzialismo.

 

I Giovani della musica italiana emergente

 

Sono anni che, all’interno dell’intero evento Sanremo, l’episodio più interessante è costituito dai 20 minuti iniziali delle prime giornate, dedicati ai ragazzi. E poi, ormai, artisti indie e impegnati nella pratica dei “nuovi generi” fanno parte in pianta stabile del “menu principale” della competizione sanremese. I vari Davide Shorty, Gaudiano, Folcast, Fulminacci e Willie Peyote sono solo la punta dell’iceberg di un sommovimento culturale che sta cambiando la scena musicale italiana in meglio, con la gavetta, con la cultura, con idee fresche.

 

Per chi, come noi di Elephant Music, è impegnato quotidianamente in attività di scouting per raccontare la musica del nostro Paese e promuoverla, questo fermento è chiaro e ci dà speranza. Le nostre playlist (Rock Tape Italia, Urban Tape Italia , ItPop Tape ed Elephant Music Discovery) sono alimentate da tale fermento. I nostri servizi di marketing musicale vogliono esserne parte. La musica emergente italiana genera più speranza delle parole spese sui palchi da presentatori e di quelle promesse nelle stanze della politica. C’è forse da riporre più aspettative negli emergenti che nelle pur sacrosante iniziative di lotta civile intraprese dal fronte comune degli artisti e degli operatori negli scorsi mesi.

 

La ripartenza post-Covid sarà dei nuovi artisti, noi vogliamo esserci per raccontarli e portarli sui palchi, fisici o digitali, che contano.

Marco G. Costante

Marco G. Costante

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