The Battle At Garden’s Gate: i Greta Van Fleet dall’Antichità ai 70s

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Civiltà lontane, tempi indefiniti e tanto amore nel terzo album dei Greta Van Fleet, una formazione di cui si è parlato troppo ma forse si ascoltato troppo poco.

Perennemente e legittimamente accostati a leggende del passato (su tutte i Led Zeppelin), la band capitanata dai fratelli Kiszka torna con The Battle At Garden’s Gate, un titolo tanto evocativo quanto custode delle sorprese che si celano dietro le dodici tracce che compongono il nuovo lavoro, prodotto dalla Lava Records (gruppo Universal).

The Battle At Garden’s Gate (2021) – Recensione

 

È opportuno sfatare una volta per tutte un totem, ormai inculcato nella testa di molti haters della band. Con questo lavoro, i ragazzi del Michigan tendono ad allontanarsi dalle ispirazioni tanto criticate, fatta eccezione per qualche richiamo, come quello nella traccia Built By Nations, la cui intro è accostabile, per l’appunto, a qualcosa di già creato diversi decenni fa da Plant e compagni. Il singolo più radiofonico Heat Above, in rotazione perfino in radio non propriamente Rock (come RTL 102.5) regge per semplicità, ma con una struttura un po’ banale non rende giustizia a un lavoro globale decisamente più introspettivo, cupo e maturo.

In Stardust Chords il vocalist Joshua, che nel tempo ha dimostrato di saper tener testa alle critiche, può liberare il suo canto creativo, spostandosi di nota in nota con una danza in cui dimostra di sentirsi fortemente a suo agio: un’altra ottima performance canora, come quella musicale portata avanti da tutta la band, fino all’ultima traccia e all’assolo d’ altri tempi a sigillare i quasi nove minuti del brano The Weight of Dreams. Analizzando i testi e soprattutto le armonie, il concept del disco è nel complesso rispettato. In diverse interviste, Kiszka parla d’ ispirazione a riferimenti biblici e, per l’appunto, a civiltà che provengono da tempi e luoghi non definiti. Ed è qui che viene il bello.

Il misticismo dei Greta Van Fleet

 

I proclamati ed epici richiami alle civiltà che erano, a quelle che sono e che saranno protagoniste della storia dell’uomo, si evincono solo dai brani più sentiti, come i singoli “Broken Bells” e “Age Of Machine”; quest’ultimo scelto come primo estratto dal disco, e antesignano di un evidente approccio più maturo e definito.

Riflette molto del mondo che abbiamo visto e penso che rifletta molte verità personali. Quello che Josh fa molto bene con i testi è raccontare storie antiche, con un’applicazione contemporanea “. Rimarca Jacob Kiszka, chitarrista e fratello dell’ormai noto frontman.

Il tutto si evince anche dal booklet che accompagna il disco, dove ogni canzone è accostata a un simbolo ritraente fantasiosi disegni di elementi accostabili alla natura, alla terra, ma anche all’esoterismo e alla sessualità, mentre l’interno del cartone compresso che fa da custodia, pare ritrarre una semi divinità nuda. L’arco e la freccia lasciano intendere sia Cupido avvolto da un cerchio di fuoco, intento a puntare la porta del giardino: la perfezione dell’Eden secondo i Greta, che rischierebbe di essere bruciato.

Una battaglia per il Rock contemporaneo

 

In una recente intervista Sam Kiszka, tastierista della band, ha spiegato così il titolo dell’album:

“Ciò che sta fuori i cancelli del titolo sono tutte le cose sgradevoli dell’umanità, tutto ciò che la può distruggere. Ciò che sta dentro è la perfezione teorica, il giardino dell’Eden.”

Il problema sarebbe, quindi, tutto ciò che sta fuori dal giardino (per l’appunto la battaglia) e fuori dalla nostra realtà, come l’industria bellica definita “identità” di una società che non sa nemmeno come sarà il suo futuro. Il lavoro è indubbiamente ben riuscito e risulterà – alla lunga – vincente e lontano dalle sonorità dei loro esordi e dei nostalgici anni Settanta. Tutto per buona pace dei detrattori e delle testate online (o presunte tali) pronte a gettare benzina sul fuoco delle perenni fiamme fatte di critiche e insulti che avvolgono questi ragazzi, proprio come quelle che bruciano il semidio all’interno della custodia del disco, col quale i Greta Van Fleet hanno indubbiamente vinto la loro battaglia At Garden’s Gate, e forse anche oltre i relativi confini.

Giancarlo Caracciolo

Giancarlo Caracciolo

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