Boavista o “Boh-a-vista”? Recensione di “Lì dove ci sono le stelle”

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Boavista, un nome che suona bene

I Boavista sono un gruppo composto da cinque ragazzi bolognesi con la voglia di uscire fuori dagli standard musicali odierni, cercando, invano, di far fare un salto indietro di circa quindici anni agli ascoltatori, tramite sonorità che richiamano il Ligabue dei primi anni Duemila, i Subsonica e purtroppo però anche dei Modà, per via dei troppi ritornelli.

Pur formatisi nel 2019 da un’idea di Simone Tancredi e Luigi Bellanova, i Boavista vantano numerosi palchi e ore di studio provenienti dal background di ogni singolo componente del gruppo. Cominciarono a farsi sentire portando nelle piazze Caduta Libera, album di esordio di Simone, incontrando subito il favore del pubblico grazie a un sound maturo e curato in ogni dettaglio.

 

Lì dove ci sono le stelle c’è anche un po’ di buona musica?

Lì dove ci sono le stelle è la prima loro creatura che riesce ad attirare sicuramente l’attenzione della massa: registrato egregiamente, con una pulizia del suono e un bilanciamento degli strumenti praticamente perfetto.
Il sipario si apre con Ruggine, che cerca di spiegare come l’abitudine negativa possa essere corrosiva, rischiando di distruggere tutto. In 3:37 minuti di pezzo, ascoltiamo con piacere circa i primi 2:30, per via di un ritornello banale e semplice, ripetuto due volte come quasi per “allungare il sugo”, abitudine ormai diffusa in quasi tutti gli artisti commerciali (con questo non intendo che i Boavista siano commerciali, ma forse per attirare l’attenzione del pubblico sono costretti a fare queste “mosse”). Ascoltiamo un sintetizzatore egregiamente eseguito, una chitarra che entra solo quando necessario e una batteria monotona ma azzeccata.

 

Possiamo continuare il discorso anche con Penelope, secondo pezzo dell’album, sottolineando anche qui un ritornello banale e ripetuto più volte.
Il comunicato stampa della band descrive il testo così: “L’uomo viene da Marte e la donna da Venere. Il brano racconta delle differenze di punti di vista, richiamando la celebre Tela di Penelope per raccontare il cambiamento di stati d’animo in una storia. Trovarsi sarà sempre la soluzione migliore”.

 

Io dico che il testo di questo brano parla di… Boh, e lo spiega in modo… Boh, ma è accompagnato da uno strumentale registrato… Wow! Un ritornello che arriva subito, che ritorna subito e poi conclude la canzone; un testo che ha bisogno di essere trascritto per riuscire a capire cosa dice. Nel complesso sembra quasi una demo, ma fatta bene.

 

Con Vedrai si comincia a sentire qualcosa di più interessante: una batteria diversa dalle prime due, una chitarra più presente, ma un testo deludente come quelli passati, con il solito ritornello fastidiosamente ripetuto.
Faccio fatica a comprendere quest’album, per tale motivo mi limiterò, da adesso, a riportare quello che scrivono nel comunicato stampa, per poi fare un’analisi generale del gruppo.

 

Il terzo pezzo è Lì dove ci sono le stelle, scritta con Emiliano Cecere e Oscar Angiuli. Il brano parla di un viaggio, la voglia di evadere dalla routine di una vita artefatta che appiattisce l’immaginazione e omologa i sentimenti… Verso le stelle che illuminano la notte più buia.

Brivido racconta di una storia che non diventa storia, il limbo di molte situazioni in cui ci si prende come in un brivido, appunto, che bisogna vivere senza troppe paure.

Come supereroi parla di una storia d’amore ormai finita ma che ancora vive nei ricordi e tra angoli di una casa che ancora ha il sapore di quello che è stato.

Il mondo che vorrei è un brano pop intriso di tastiere, synth e groove incalzanti, prodotto da Filippo Manni e scritto dai Boavista in collaborazione con il noto autore romano Paolo Amati.

Alibi è un brano fatto di energia, entusiasmo e speranza per l’inizio di una storia d’amore, con la volontà di superare ostacoli e non cadere in degli inutili alibi.

 

La musica made in Bologna è un’altra storia

Sinceramente, mi fa rabbia che una qualità di registrazione e una cura dei suoni cosi attenta possano essere completamente distrutte da dei testi vuoti e da basi composte solo e soltanto da ritornelli in stile tormentone depresso dell’estate (almeno quello ti fa ballare se sei ubriaco).
Ho fatto fatica ad ascoltare tutto l’album e a volte mi è sembrato di stare a sentire la sigla di una telenovela!
Sono deluso dal fatto che in una città meravigliosamente immersa nella musica come Bologna possano riempire le piazze i Boavista: a mio parere, sembra quasi irreale.
La musica è altro.
Però, chissà? Forse da questo bruco un giorno nascerà una bellissima farfalla, ma per adesso resta soltanto un bruco.

Italo Messina

Italo Messina

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