Musica e DPCM, pensieri sparsi da un autunno maledetto

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Sembrava una domenica qualsiasi, quella del 25 ottobre. Nelle case italiane il sugo era quasi pronto per il pranzo, alla TV via-cavo (si dice ancora così?) c’era un Cagliari-Crotone solo per i più temerari e appassionati del pallone. Tutta apparenza. A ben guardare, milioni di italiani erano a tavola col fiato sospeso, ansiosi di sapere se, qualche ora dopo, si sarebbero ritrovati a prepararsi per un lunedì di lavoro o di allucinante paranoia. Poi Conte ha parlato, e il settore cultura e spettacolo hanno conosciuto nuovi brividi e angosce. Sono passati giorni e, di mezzo, c’è stato un altro maledetto weekend di brutte notizie e colori tristi. Si è già scritto tanto sugli ultimi DPCM e su quello che significano per la musica italiana e il suo indotto. Ma nessuno ha ancora digerito la notizia, ne siamo certi. Non sono bastati i vari #NessunoEscluso e Bauli In Piazza. Alla prova dei fatti, quando è arrivato il momento delle decisioni drastiche, i lavoratori di cultura e spettacolo sono stati i primi a cadere, vittime di un Sistema che a malapena li conosce e riconosce. Ecco perché abbiamo chiesto ai nostri autori di esprimere un pensiero a caldo sul momento, sui professionisti che ne pagano lo scotto e sulle prospettive future.

Voce alle voci de L’Olifante e di Elephant Music

 

È tosta davvero. Il mio primo pensiero è andato a Nicola, un mio amico che qualche anno fa ha riaperto nel suo paese natale, Vestone (BS), la sala cinematografica comunale. Una sala dedicata a Mario Rigoni Stern, il sergente nella neve, uno che è sopravvissuto alle campagne di Grecia e Russia della Seconda Guerra Mondiale. Una sala destinata per diritto onomastico a resistere a tutto. Quella sala che, grazie al mio amico e al suo stakanovismo inconsapevole, ha ospitato concerti, incontri con registi di fama nazionale e internazionale, proiezioni di film muti accompagnate da musica dal vivo. Nicola, mi aveva detto stavolta che non avrebbe retto economicamente e moralmente a un’altra chiusura e così è stato. Questo Mario Rigoni Stern si è dovuto arrendere al periodo e alla legge. Nicola si rialzerà, ma è un peccato. Immagino sia successo a tanti altri operatori e tecnici culturali e musicali in tutta Italia. Ne ho conosciuti molti in questi mesi, prima dal vivo e poi in interminabili chiamate Zoom per il format BeLi(e)ve. So che sono persone toste e che cercheranno di venirne a capo senza piangersi addosso. Questo mi tranquillizza un po’, a dirla tutta. Però, quello che mi sento di dire è che il Governo ha deciso – per il bene di tutti – di mandare in letargo alcuni degli animali più importanti e belli dell’ecosistema Italia. Ci può stare, forse, in un momento così difficile. Non si può però andare in letargo senza aver messo da parte le risorse per l’inverno. Detassiamo allora in maniera drastica i professionisti colpiti e proteggiamoli fino a quando potranno tornare a fare il lavoro che amano e a produrre ricchezza per il Paese. Soprattutto mettiamoli in condizione di creare nuovi progetti in questi mesi e di non lasciarli cadere nella tentazione/necessità di dedicarsi ad altro e abbandonare quello che fanno meglio. Ci serve bellezza, è pane pure quello!

Marco Gino Costante, Chief Editor

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“Non studio, non lavoro, non guardo la tv/Non vado al cinema, non faccio sport”. Ci pensarono i CCCP nel lontano 1986, a compendiare in due versi quella che sarebbe stata la nostra vita nel 2020 (e 2021?), dimenticando di concludere la strofa scrivendo “ma a messa si può andare”.

La luce in fondo al tunnel ancora non si vede e non solo per il virus in sé, ma anche perché in questo Paese vince la cialtroneria. Otto mesi fa abbiamo dovuto sorbirci le paternali di Governo e Regioni sul restare a casa a ogni costo perché nessuno sapeva come affrontare la pandemia. Oggi, a distanza di dozzine di decreti, ordinanze, promesse da parte delle istituzioni, siamo al punto di partenza. Ma se a marzo non si poteva che dare la colpa al virus, adesso possiamo dirlo senza problemi: la colpa è della politica, e lo è retroattivamente da marzo, in quanto in tutto questo tempo l’Italia non è riuscita a garantire le misure sanitarie idonee alla preannunciata seconda ondata di Covid-19. È il tempo in cui ci ritroviamo a distinguere fra attività essenziali e non essenziali per limitare le occasioni di contagio. Qualcuno ha deciso che la messa religiosa sia più importante di quella laica; che possa esistere culto senza cultura. In una scala di valori tutta italiana, i vespri valgono di più del sollevamento pesi o dell’opera. Cinema, palestre e teatri possono chiudere, ma dobbiamo ricordarci di “santificare le feste”, anzi: andare a messa in autobus o in metro è l’idea perfetta per peggiorare le cose alla grandissima! Ma guai a voler usare il trasporto pubblico per godersi un bel film in poltrona.

L’Italia è uno Stato laico, quindi è giusto che nonostante la seconda ondata i luoghi di culto siano tutti aperti nel rispetto delle distanze di sicurezza e delle misure di igiene. Allo stesso modo, dovrebbe essere tutelata la spiritualità di chi incontra se stesso non nella preghiera religiosa, ma nell’arte. Se i fruitori dell’arte stanno soffrendo l’impossibilità di coltivare la propria interiorità nei luoghi di cultura, gli addetti ai lavori del settore aggiungono a questo patema anche la privazione della dignità ad opera di una classe dirigente che afferma senza mezzi termini: “siete inutili”. Il “Decreto Ristori” darà due spiccioli di sopravvivenza a gran parte dei lavoratori dello spettacolo fermi a causa della decretazione compulsiva del Governo Conte. Ma nessuno vuole ridare a queste persone la dignità di alzarsi la mattina, andare a lavoro e poter dire: “Questi soldi me li sono guadagnati”. Non esistono attività lavorative essenziali o meno: dal momento in cui una famiglia provvede al suo sostentamento grazie a professioni legate alla cultura, quel lavoro è essenziale perché svolge, nella sua unicità, la sublime funzione sociale di mettere in relazione l’individuo col prossimo, rendendolo libero di scegliere.

Se non altro, questa tragedia sta facendo rinascere in noi lo spirito della classe lavoratrice che era stato annientato da politiche sociali volte all’assistenzialismo della persona, e non a garantire il diritto al lavoro omnibus. Per questo i “ristori” non vanno bene: se è lo Stato a mantenerci, siamo suoi succubi. Mentre se siamo noi a produrre reddito per lo Stato, possiamo anche arrivare a governarlo.

Simone Calienno, Editor e Blogger

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Da diversi anni mi occupo di contribuire alla vita dell’organizzazione sindacale FISTel CISL Puglia – che segue tra i tanti, i lavoratori dello spettacolo – lavorando sulla comunicazione e sull’efficienza della presenza online della stessa, in un mondo costantemente connesso.

Ecco, quello che sta accadendo, e che le organizzazioni sindacali di categoria chiamano “L’ Assenza Spettacolare”, deve diventare per i lavoratori dello spettacolo una vera occasione per la rivalsa di posizioni in termini di dignità del lavoro. Quella dignità che questo Paese, quello degli artisti, dei poeti, degli scrittori, dei lirici per seguire un vecchio adagio, non sta riconoscendo da troppo tempo ad essi.

Collaboratori, precari, spesso lavoratori fantasma, per meglio dire “in nero”, cui non è riconosciuta un’identità, una prospettiva di futuro e a cui oggi, in tempi complicati come mai nell’età contemporanea, viene chiesto di fare un ulteriore passo indietro; questa deve essere l’occasione di farne, una volta per tutte, in avanti più di uno.

 Giancarlo Caracciolo, Autore, Blogger e Attivista sindacale

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Nel paese dove vivo c’è un solo cinema con due sale – la più piccola ricavata da quella che una volta era una galleria.

Da quando sono bambina è sempre lo stesso: ha le stesse vetrate all’ingresso, la macchina dei popcorn a sinistra del bancone che c’è appena entri. Una panca in legno per sederti ad aspettare, un televisore che di solito proietta le partite, due scalini che portano alle pesanti porte grigie con i maniglioni rossi antipanico. So descrivere la piccola sala d’aspetto a memoria, così come ricordo tantissimi biglietti conservati in una scatola – la rapida recensione del film scritta dietro, prima con calligrafia infantile e poi con qualche obliquo gesto più adulto. Tutti i mercoledì sera perché “mercoledì cinema!” in compagnia, anche se il film non ci piace andiamo lo stesso. Film bellissimi, film terribili, pianti di commozione e tantissime risate – pur fuori luogo, ogni tanto.

Rispetto le regole in modo zelante, l’ho sempre fatto e continuerò a farlo con quel piglio da Hermione Granger che mi è caro: però devo prendermi necessariamente la libertà di dire che oggi, quelle regole non le capisco.
Non solo i lavoratori dello spettacolo hanno bisogno di esercitare la propria professione: ma noi abbiamo bisogno di loro, in ogni sfaccettatura. Abbiamo bisogno di tutte le componenti che servono per un bel film; della struttura che c’è in teatro, davanti e dietro le quinte. Abbiamo bisogno della musica, di chi la fa, chi la sostiene e chi le dà spazio. E abbiamo bisogno del nostro cibo – perché dai, siamo in Italia, passiamo il 90% del tempo che spendiamo all’estero a lamentarci che non si mangia bene! – e del nostro sport, del conforto delle nostre palestre dopo una giornata di lavoro. La nostra cultura non deve lasciare da parte nessuno. La nostra cultura siamo noi. Abbiamo bisogno di emozioni semplici e belle, di un po’ di meraviglia che allontani la paura e ci renda più semplice vivere questi tempi così difficili.

Passo davanti al cinema, ci sono ancora i cartelloni degli ultimi film proiettati. Io però spero riapra presto, che quest’anno esce Diabolik: e non vedo l’ora di mandare un messaggio sul solito gruppo WhatsApp, arrivare giusto un minuto prima, lagnarmi della pubblicità che è sempre la stessa, delle poltrone che sono scomode però sì, gli voglio bene lo stesso e in fondo lo so che non le cambierei con nient’altro perché a modo loro sanno di casa.

Arianna Zoccolini, Blogger & Marketing Specialist

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