Come Spotify ha cambiato tutto in 2 mesi

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Il gioco sta davvero cambiando.

I primi sentori di questo cambiamento, a nostro avviso radicale, si erano già avvertiti due mesi fa. L’azienda svedese aveva introdotto la possibilità per chiunque di candidare direttamente la propria musica alle tanto ambite Playlist, facendone richiesta prima della messa in distribuzione.

Prima che questa possibilità si trasformasse in realtà, per accedervi, gli artisti emergenti più ambiziosi si vedevano costretti a una vera e propria “caccia al curatore”, al creatore cioè delle Playlist più seguite, alla disperata ricerca di visibilità. In sostanza si poteva sperare solo in qualche contatto diretto o di rientrare autonomamente nei radar delle Playlist grazie ai propri ascolti.

Ora, tutto questo viene messo in discussione e, a quanto pare, sostituito da uno strumento più equo e meritocratico che permetterà a tutti di accedere alle Playlist venendo giudicati solo in base alla pertinenza e la qualità della propria musica.

Ma non è finita qui.

Spotify ha recentemente spiazzato tutti con un’ulteriore novità. Daniel Ek (fondatore di Spotify) ha annunciato una nuova funzionalità che consentirà agli artisti indipendenti di caricare direttamente le tracce sulla piattaforma, senza alcun obbligo di servirsi dell’intermediazione di distributori o etichette discografiche.

Attualmente, la funzione è in modalità beta su invito e solo alcune centinaia di artisti statunitensi possono già servirsene (Lucky basterds!). Secondo quanto promette Spotify, la disponibilità di questa novità verrà però presto allargata tanto da farne un fiore all’occhiello per la piattaforma. La procedura di upload avverrà tramite la ben nota piattaforma Spotify For Artists.

Quello che lascia più sorpresi, al momento, è che questa funzionalità sarà completamente gratuita: l’artista non sosterrà alcuna spesa, indipendentemente dal numero di brani inviati, e la piattaforma non addebiterà agli artisti alcuna commissione aggiuntiva sui guadagni generati dagli ascolti.

Alla luce di quanto detto, è chiaro che il successo e il gradimento dell’intera operazione dovrà passare dalla trasparenza nella gestione delle royalties. Proprio in merito a quest’ultimo punto, dal blog di Spotify si legge: “con le pubblicazioni dirette tramite Spotify, si verrà pagati in base agli ascolti della tua musica su Spotify. Le royalties verranno accreditate direttamente sul tuo conto bancario, ogni mese, con un chiaro report in quanto agli stream, analytics e altri approfondimenti, già consultabili dal proprio account Spotify For Artists”.

Queste due novità sostanziali vanno inquadrate in un’unica e chiara strategia di Spotify, già in parte ribadita agli investitori dallo stesso Daniel Ek: creare un “mercato a due lati”, sia per i consumatori che per i musicisti, “con l’obiettivo di raccogliere più musica possibile sulla piattaforma”.

Ma quali conseguenze ci dobbiamo aspettare da questi recenti indirizzi del colosso dello streaming scandinavo? Ovviamente gli artisti hanno accolto positivamente questa mossa che rende loro più trasparente e semplificato, sia da un punto di vista economico che “burocratico”, l’accesso a quella che è oramai la vetrina musicale online di riferimento. D’altro canto, però, Spotify entra a gamba tesa in competizione con diversi attori (Soundcloud su tutti) che hanno fatto del servizio di user-upload il loro punto di forza. Fa inoltre un clamoroso sgambetto ai distributori digitali (CD Baby, TuneCore, Spinnup, Distrokid, …), i quali saranno in parte scavalcati dalla possibilità di distribuire la propria musica gratuitamente e direttamente su Spotify, che rappresentava il punto cardine della loro offerta.

A nostro avviso, le strategie di risposta non tarderanno ad arrivare da parte di tutti gli attori coinvolti, costretti inevitabilmente a riadattare i propri servizi sotto l’influenza del gruppo svedese.

La direzione verso cui il mercato dovrebbe convergere sembra essere tutta a vantaggio dei musicisti: vengono tagliati fuori gli onerosi intermediari tra musicisti e piattaforme streaming, s’implementa l’accessibilità, aumenta il traffico di utenti. Tuttavia, proprio questo rialzo quantitativo di upload rischia di abbattere ulteriormente la qualità a favore, ancora una volta, della distorta corsa al “numero di stream” dettata dall’era digitale moderna.

Fa riflettere come la musica, la quale sembra sempre più guardare al suo ruolo di segmento produttivo piuttosto che alla sua natura di arte liberale, sia ormai sulla via della monopolizzazione targata Spotify, nella sua nuova veste di Worldwide Label. Ma non dobbiamo e possiamo stupirci di questo: mediante le Playlist, Spotify sta già influenzando (più o meno consciamente) i gusti e le tendenze musicali globali, operando delle autentiche scelte editoriali.

Più che incolpare facilmente Spotify per questi cambiamenti, dovremmo tutti fare un terapeutico esame di coscienza. Daniel Ek non ha mai incatenato e costretto nessuno ad ascoltare le sue classifiche “Top 50”. Se Spotify è dove si trova al momento, vuol dire che il suo servizio funziona ed è richiesto.

Tuttavia, la musica conserva quel suo valore fondante della soggettività. Per nostra fortuna, l’omogeneizzazione trova limiti strutturali nel mondo musicale. Le scelte e le responsabilità, dunque, sono nostre: da un lato possiamo vivere la musica in modo superficiale, accompagnando le nostre commissioni quotidiane con delle Playlist funzionali e preconfezionate; dall’altro possiamo ancora approfondire, ricercare e lasciarci incuriosire da artisti meno conosciuti, da generi più ricercati, costruendo e coltivando una personale concezione di musica e di arte.

Non sta a noi giudicare quale sia la strada migliore perché ognuno vive il proprio personale rapporto con la musica. Spotify, come dimostrato – lo ribadiamo – dal suo enorme successo, rimane un ottimo strumento.

Bisogna solo scegliere come usarlo.

Simone Solidoro

Simone Solidoro

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