Il nuovo proibizionismo digitale censura i RATM

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Recentemente mi sono imbattuto in una censura di Instagram piuttosto eloquente, applicata su un’immagine postata dai gestori del profilo dei Rage Against The Machine o, molto meno probabilmente, dalla stessa band (qui il post dei RATM censurato) Conoscendo la loro storia e identità sociopolitica, il pensiero è andato immediatamente a plausibili immagini ritraenti scenari nefasti, legati all’orrore delle guerre, o in alternativa a qualcosa di talmente oltraggioso e provocatorio, da meritare un’appropriata scure della censura per mano dell’esercito dei moderatori di uno dei social network più utilizzati al mondo.

 

Il post incriminato dei Rage Against The Machine

Scoperchiato il presunto vaso di pandora, contenitore di chissà quale maleficio (con un semplice clic, quanto può essere effimera la portata di un blocco preventivo?) mi sono ritrovato invece dinanzi alla copertina del disco d’esordio della band, l’eponimo nonché storico Rage Against The Machine. Ricostruendo brevemente la composizione della cover, questa rappresenta l’immolazione del monaco buddista Thích Quảng Đức, che nel 1963 si diede fuoco per protesta contro il trattamento di discriminazione riservato agli osservanti la religione buddista sotto l’allora governo del Vietnam del Sud, di matrice filo cattolica.

Per quale motivo allora una copertina di un album che si stima possa essere fisicamente nelle case di 10 milioni di persone, oltre che digitalmente in bella mostra in centinaia di migliaia di playlist dei vari servizi streaming, è soggetto a una censura preventiva di questa portata?

Una cinica risposta, ovvia, è: perché ritrae un atto di autolesionismo.

 

La questione più ampia della moderazione sui Social

Il problema in realtà è molto più ampio e complesso di quanto si possa pensare. Oggi i nostri bambini considerano gli smartphone i loro giocattoli, mentre tanti adolescenti e adulti trascorrono così tanto tempo sui social media, a tal punto che il portale Omni Calculator afferma che per investire il nostro tempo nei vari Facebook e Instagram, rinunciamo mediamente alla lettura di più di 20 libri all’anno. Ecco il fantastico futuro che abbiamo sempre sognato! Colossi come Instagram devono, quindi, essere efficienti alla perfezione, e ne consegue che l’esercito dei moderatori debba essere meticolosamente attento, anche a consentire l’immediata visualizzazione di un’ immagine dall’impatto visivo potenzialmente pericoloso.  

Come spiegato però, lo storico gesto di Thích Quảng Đức non è da ricondursi a un mero atto di autolesionismo, bensì il monaco sentì la responsabilità di incarnare quella che si può considerare una forma di martirio a favore di una denuncia a tutela di una minoranza. In buona sostanza, per quanto toccante e lontanamente fraintendibile, si tratta di un’immagine ben distante da quelli che dovrebbero essere gli standard di censura di un social network.

La realtà è, però, un’altra: ipotizzando un ragionamento allineato a quelli che sarebbero gli standard di Instagram, come di tutti i social network rispetto a determinati requisiti legati alla pubblicazione di una foto, e considerando la mole di dati caricati ogni istante sulle varie piattaforme, è davvero complicato ipotizzare delle valutazioni interpretative caso per caso. In sostanza: o si è all’interno dei requisiti o si è fuori; o è bianco o è nero.

 

C’è ancora spazio per le provocazioni e le sperimentazioni dell’arte musicale

Ne consegue un imbarazzo e una naturale insofferenza rispetto a ciò che è considerabile vicino al limite, che sia entro od oltre i confini di demarcazione dello stesso. La mente torna allora a gesti inconsueti o provocatori. Che ne sarebbe stato oggi di David Bowie, se nel 1976 fosse stato immortalato su Instagram mentre si mostrava per Londra nei panni di un soldato nazista? Il “duca bianco”, all’epoca non fu esente da accuse di vario genere, ma oggi sarebbe stato molto probabilmente oggetto di censure e processi che, per via della portata mediatica dello strumento, avrebbero potuto perfino comprometterne la sua indimenticabile carriera.

O, ancora, John Lennon potrebbe postare una foto che lo ritrae steso sul proprio letto nudo abbracciato a Yoko Ono senza che lo scatto possa essere etichettato come contenuto sensibile?  Stiamo forse convivendo con una forma di intolleranza e di permalosità difficilmente registrata prima? Dove tutto è pretestuosamente suscettibile a processi mediatici per mano di un monitoraggio che ci legittima, forse inconsapevolmente, a elevarci al livello di giudizio universale? (Temi ampiamente trattati in serie TV come “Black Mirror”).

Di sicuro un principio di verità è riscontrabile. Oggi i social media come Instagram sopravvivono grazie a fotografie che possono ritrarre ovvietà o provocazioni, umanità o crudeltà; ma tra autorizzazioni e proibizioni, ciò che è bellezza ma non genera denaro viene accantonato se non, addirittura, distrutto.

Giancarlo Caracciolo

Giancarlo Caracciolo

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