Innuendo: il testamento dei Queen compie trent’anni

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Quando si vuole raccontare un album che compie un anniversario importante, spesso lo si sceglie perché quel disco ha rappresentato un punto di svolta netto nel panorama musicale, o anche nella sola discografia di quell’artista. Quando l’artista in questione è un gruppo come i Queen, subito viene spontaneo pensare ad A night at the opera, un album completo a tutti gli effetti: ispirato, complesso e quindi di rottura, con pezzi passati alla storia, che ha dato il là alla definitiva affermazione mondiale del quartetto britannico.
Ma non è questo l’album in questione. Perché è vero che i capolavori devono essere sempre celebrati e rispettati, ma è anche vero che l’importanza di un album non è data dal numero di copie vendute e dalla spallata che dà al mercato. Ci sono lavori che sono importanti per l’impatto emotivo che provocano nel pubblico.

 

Il testamento artistico di Freddie Mercury

Era il 5 febbraio 1991, esattamente trent’anni fa, quando usciva Innuendo, il quattordicesimo e ultimo lavoro con la formazione inglese al completo; quello che ormai viene definito, a posteriori, “il testamento di Freddie Mercury”. E in effetti è proprio così, se si considera il modo in cui è avvenuta la gestazione. Tutto è cominciato alla fine del 1989. I Queen avevano appena finito di promuovere il precedente The Miracle, quando tornarono in sala di registrazione per l’incisione di nuovo materiale. Il motivo di questa scelta fu reso noto solo qualche tempo dopo: Mercury apprese della sua malattia, sapeva di avere poco tempo a disposizione, e volle versare le sue ultime energie per regalare ai fan una traccia indelebile nel tempo.
Riascoltare il disco oggi, trent’anni dopo, quando tutti ormai sappiamo come sono andate le cose, ha un effetto estraniante e sorprendente: è incredibile come un uomo debilitato da una tremenda malattia riuscisse a dare tutto se stesso come nulla fosse. Ma non solo lui: tutta la band raggiunse livelli di stile ed esecuzione perfetti; soprattutto Brian May, che toccò vette assolute come ai tempi di The Works.

 

Innuendo, la Bohemian Rhapsody degli anni Novanta

L’album si compone di 12 tracce, dominate da un’atmosfera cupa che sembra voler anticipare qualcosa, alternando momenti di energia e commozione. E a proposito di commozione, il primo dei momenti più intensi è già nella traccia di apertura, Innuendo per l’appunto, da molti definita la “Bohemian Rhapsody” degli anni Novanta. E non può essere diversamente! Oltre sei minuti di virtuosismi vocali e strumentali che salgono, scendono e risalgono, dando l’impressione di un clima rarefatto e complesso trainato dalla parte “spagnoleggiante” della chitarra acustica a fare da ponte tra due momenti di Opera Rock. La prima parte del disco prosegue con un andamento costante che non incide più di tanto. Ci sono I’m Going Slightly Mad che accenna alla sensazione di malessere fisico avvertito da Mercury fino a procurargli un guizzo di follia, ed Headlong con Brian May che ripercorre la cavalcata di I Want it All.
Ma è nella seconda parte che l’album cresce fino a raggiungere il culmine: si parte dalle rullanti accelerate di Ride the Wild Wind, in cui anche Taylor e Deacon raggiungono il massimo del potenziale, a cui segue All God’s People e i suoi cori gospel alla Somebody to Love. E ora il secondo momento di commozione: “Theese are the days of our lives”, una canzone musicalmente minimale ma che ha un significato simbolico enorme. Si tratta, infatti, dell’ultimo videoclip in cui appare un Freddie Mercury depotenziato, smagrito e provato dall’AIDS, e proprio per sua volontà questo video sarà rilasciato solo dopo la sua morte.

 

Il resto della tracklist e l’importanza di Innuendo (1991)

Si torna alla leggerezza con Delilah, brano che Freddie dedica alla sua gatta, e poi The Hitman che ricalca Hammer to Fall (e qui sembra addirittura di rivedere la loro esibizione a Wembley durante il Live Aid). Ma le vere perle del disco sono le ultime due tracce: “Bijou”, una canzone quasi interamente strumentale che riassume in pochi minuti l’arte e la grandezza di Brian May, autore dell’unica strofa in forma di lettera di ringraziamento all’amico Freddie. Sempre dalla penna di May esce il pezzo che chiude l’album e di cui ne è l’emblema insieme alla title track: The Show Must Go On, un vero e proprio inno di congedo con tanto di inchino finale. Non è un caso che questa, secondo un sondaggio, sia la canzone che molte persone vorrebbero fosse suonata al proprio funerale, quasi a voler lasciare un messaggio di speranza… Come dire che la parola “fine” non è mai definitiva.

Stilisticamente, Innuendo è un album che vuole riprendere il filo interrotto con The Miracle due anni prima, ma ci aggiunge un qualcosa in più che lo fa sembrare quasi una sintesi di tutti i lavori precedenti dei Queen. È il disco che raccoglie il periodo barocco di A Night At The Opera e A Day At The Races, e lo unisce al periodo pop e kitsch che va da Hot Space ad A Kind Of Magic.

L’ultimo saluto al pubblico prima che cali il sipario, dicendo: “Ecco, questi siamo noi!”

Ivan Cecere

Ivan Cecere

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